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Politica e antipolitica

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POLITICA E ANTIPOLITICA

Quando le parole divorziano dai fatti

e distruggono vita e partecipazione

 

Da tempo in Italia – ennesima culla di un morbo che flagella ora tutta Europa - è imperativa l'invettiva contro i partiti e la cosiddetta partitocrazia. Si è iniziato con "Mani pulite" e dalle "mele marce" iniziali il mirino via via si è spostato sempre più in alto. Nel tritacarne - grazie anche all'appassionato e partecipe suicidio di partiti e politici della Seconda Repubblica - è finito il contenitore generale, la politica e i partiti, in rottamazione concreta della Costituzione e del suo art. 49: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Inaspettati e su sponde spesso apparentemente contrapposte i carnefici reali.

Il tutto a dispetto di una cronaca che – smentendo ogni colpevole e strumentale sottovalutazione - continua a porci sotto gli occhi i guasti di una società immarcescita da una crisi lunga decenni: criminalità endemica e diffusa, corruzione sportiva, finanziaria, amministrativa, affarismo e particolarismo dilaganti ecc.. Il tutto accompagnato da inni smodati alla cosiddetta "società civile", termine buono a tutte le occasioni e latitudini.

Il bello è che, adottando materialisticamente proprio il metro dei cantori dell'antipolitica, il  tasso di professionalismo politico – quanti vivono di sola politica - oggi è più alto che mai proprio nei loro ranghi, a tutti i livelli, grazie anche alla lunga crisi dell'occupazione giovanile e alle inarrestabili fortune del precariato. Basta compiere una banale disamina dei curricula professionali nelle formazioni che vanno per la maggiore, ad esempio il M5S, o delle sigle e formazioni civiche, dei movimenti nati e diffusi un po' ovunque. In genere si tratta di personaggi che non hanno quasi mai esperienze di lavoro nella vita civile e che soprattutto oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, vivono grazie al loro incarico politico o istituzionale. Il tutto condito dal rosario giornaliero di invettive contro la partitocrazia vampira del sangue di chi vive di lavoro.

La denuncia continua del divorzio tra politica e vita è divenuta da tempo professione.

Il peggio però è che sta distruggendo proprio la politica come sale della vita, impegno, partecipazione tra diversi alla ricerca del bene comune, a beneficio di una comunicazione spesso impazzita dietro mode e soprattutto individualismo dilagante. E intanto le diseguaglianze reali crescono nella società fino a farsi intollerabili e a rendere di fatto improponibili, disfunzionali le reti tradizionali come anche quelle più nuove. Insomma, fino a minare in radice proprio il legame sociale, lo stare in società.

Non è un caso che di fatto nessuno degli esperimenti movimentistici, civici o comunitari degli ultimi anni, o anche decenni, è andato oltre la breve stagione, il piccolo luogo di nascita o il culto effimero di un qualche Cesare strapaesano. E che a soffrirne – non solo in Italia – sia proprio la ricerca di forme nuove di impegno politico e sociale adeguate al protagonismo diffuso di nuovo millennio.

Alla fine prospera un rancore diffuso amplificato da fratture sociali ed economiche e dall’invettiva quotidiana di network mediatici governati da mani forti. Basta vedere come gli scambi molecolari sui social network si alimentano  di bufale e invettive lanciate su schermi e testate dai figuri  più vari.

La  destra antica e nuova se ne nutre e ingrassa.