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Quando il conflitto dilaga e perverte

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Quando il conflitto dilaga e perverte

Da tempo - per l’Italia da decenni - la dinamica civile, ovvero politica, sociale, persino ideale, non è più disciplinata, incalanata, regolata dal sistema politico. Il movimento “5 stelle” ne è conferma clamorosa. Ovunque in Europa la crisi è simile. E persino negli USA il fenomeno Trump si spiega così: siamo fuori dai binari tradizionali.
A livello micro ve ne è una prova eclatante nella diffusa conflittualità che spesso, dietro il fenomeno delle liste civiche, alligna dovunque ed esplode per le cause e i motivi più disparati. La vita di paese ne dà prove eclatanti. Tanto esemplari quanto capillari. Da qualche tempo, nei vari comuni del circondario – ma se si indaga su Internet se ne trova conferme ovunque, in particolare nel Mezzogiorno - sagre e feste patronali sono divenute occasione per liti furibonde che vedono impegnati i gruppi dirigenti cittadini spesso al massimo livello. Si tratti di cortei storici o carri trionfali, spesso con consuetudini e riti centenari. Non vengono risparmiati. Anzi divengono bersaglio prediletto di scorribande politiche e conflitti di gruppi dirigenti, di guerre tra fazioni, in cui si ritorna credenti contro miscredenti, verdi contro gialli, sopra e sotto. Orfane dei tradizionali terreni di confronto politico, le camarille locali più varie non trovano di meglio, per attaccare avversari o provare a guadagnare terreno, conquistare postazioni, che invadere sfere un tempo considerate fuori della mischia e lasciate indenni. Il più delle volte con motivazioni e toni, assai strampalati e selvaggi. E così si alimentano petizioni, si formano liste, si favoleggia di mondi e conflitti inesistenti.
E’ la prova evidente, concretamente palpabile, di quanto sottolineato da molteplici analisti del pensiero politico contemporaneo: il postmoderno si ammanta di colori, tematiche e toni medievali. Si torna a dividersi tra guelfi e ghibellini. Il locale si rivela ancor più conflittuale e selvaggio del globale.
Di questo passo incombe quella “guerra civile”, ovvero quel conflitto senza quartiere e requie che la modernità prima e la democrazia poi avevano provato a disciplinare. Quella guerra civile, quella discordia, quel conflitto tra fazioni locali, o “stasis”, come lo chiamavano gli antichi, in cui, come ammoniva Tucidide, «cambiarono a piacimento il significato consueto delle parole in rapporto ai fatti» e istituzioni o organizzazioni un tempo condivise diventano incapaci a trattenere e significare ancora una storia comune. Col risultato infine che vince, prevale definitivamente – grazie all’«uso specioso della parola», fondamentale nella nostra era della comunicazione - lo spirito di parte, di fazioni che «a parole servivano lo Stato, in realtà lo consideravano alla stregua del premio di una gara».