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DEMOCRAZIA PILOTATA

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DEMOCRAZIA PILOTATA

(Pubblicato sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 21 giugno 2022 con il titolo "Democrazia pilotata. Attenti all'astensionismo e ai partiti frammentati")

Presto - troppo presto - è stata accantonata la discussione sul voto e sulle urne del 12 giugno. L’eclatante fallimento dell’assalto referendario, certificato dal bassissimo tasso di partecipazione, ha contribuito ad archiviare in fretta la pratica. Sui due lati del fronte opposte le sensazioni di sollievo o angoscia. Nell’ombra, nonostante alcuni sprazzi assai illuminanti, è rimasta la riflessione sul voto amministrativo: complice, tra l’altro, l’ardua comparazione di situazioni assai diversificate, soprattutto tra Nord e Sud.

In realtà ha primeggiato la discussione sulla crisi complessiva del sistema politico. Di fatto - sia pure con le uniche eccezioni di un qualche rilievo di “Fratelli d’Italia” e del “Partito democratico”, smorti poli di un ipotetico futuro bipolarismo - siamo all’archiviazione dell’ennesima mutazione (2 o 3 “punto zero”?) della Repubblica e dei suoi principi ispiratori. Da tempo silente e buttato in un angolo ci contempla impotente quel cardine sistemico tracciato dall’art. 49 della Costituzione: « Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». 

Piazze e corsi di città e paeselli non sono punteggiati più da insegne di partiti e movimenti. Locali sfitti da tempo o abbandonati si animano solo in occasione di appuntamenti elettorali, soprattutto municipali. È allora che plance e muri compongono caleidoscopi di sigle improbabili, confondendo passanti e cittadini con gallerie interminabili di volti e facce sempre sorridenti. 

A sorridere non è più da tempo l’elettrice o l’elettore. In cerchie sempre più ampie rifiutano di recarsi alle urne. In alcuni casi siamo ormai a uno su due. La tendenza usuale, ma in forme diverse, in altri paesi occidentali, è iniziata per l’Italia nel fatale 1979 e si è fatta inarrestabile. Allora l’assassinio di Aldo Moro annunciò con un decennio di anticipo per il nostro paese, rispetto alla cesura dell’89, la fine di un’epoca e la crisi del sistema politico nato con la Repubblica. L’asticella dell’astensione fece un salto, passando dal 6,6  al 9,4 degli elettori per la Camera dei Deputati. Naturalmente con una accentuazione nelle Regioni meridionali e grazie anche alla moltiplicazione nelle mani e nel cervello degli elettori di schede e appuntamenti elettorali: si celebrano le prime elezioni europee. Da un decennio l’abituale appuntamento elettorale amministrativo ha visto l’aggiunta alle schede per le comunali e le provinciali di quella per l’elezione del Consiglio regionale. È iniziato lo spaesamento tra i vari livelli di potere che intervengono a determinare la vita dei singoli. Col tempo l’elettorato comincia a soffrire in maniera sempre più marcata la perdita di controllo sulle potenze abilitate al controllo e alla conduzione del mondo.

L’inizio però di un nuovo ciclo astensionistico è nel biennio 1991-92: la Repubblica muore mentre Maastricht con i suoi trattati subentra come regolo supremo dei nostri ritmi vitali. L’incapacità a rimediare ad atavici malanni e tare ci costringeranno a pause tecnocratiche: da Ciampi a Monti a Draghi. Lì – in corrispondenza e a commento di quelle parentesi - si registreranno, in continua ed inarrestabile progressione, i nuovi picchi astensionistici, mentre le sigle man mano proposte delle nuove stagioni politiche conosceranno trionfi e cadute repentine. L’astensione diverrà col tempo il partito più gettonato: una scelta spesso assai meditata e dichiarata, con un elettorato fedelissimo e in continua ascesa.

A spadroneggiare – specialmente nelle tornate amministrative - v’è però altro: una frammentazione continua di coalizioni elettorali e liste. Non sempre frutto di creatività locale e a vita limitata: non più di qualche mese. Ad applicarsi e con costanza – nell’esplorazione continua di un «cubo di Rubik» con combinazioni e colori infiniti  - spesso ci sono consorterie assai composite, quasi sempre annidate nei gangli delle istituzioni regionali e negli intrecci, straordinariamente contorti, della ‘governance’ ai più vari livelli: magari nelle infinite combinazioni di privato e pubblico, economia e politica, che con varie stratificazioni orienta, guida e condiziona la vita civile della nazione. Nel Mezzogiorno con una intensità mai toccata. Spesso in combutta con la «società incivile».

La combinazione perversa di astensione e frammentazione produce effetti perversi mai toccati prima. Dalle urne emerge una sorta di «democrazia pilotata» in cui quasi sempre non v’è più garanzia alcuna per la segretezza del voto. E non si tratta solo di fenomeni da paesello. L’analisi del voto anche in città di rilevante grandezza – dai 60 ai 90 mila abitanti, con oltre 50 mila o 80 mila elettori nominali – rivela che, con livelli di astensione oltre il 40% e nel confronto tra coalizioni composte da oltre 7-8 liste, il più delle volte il voto alle varie formazioni rivela una forbice tra il 4 e l’8-9%, con preferenze addensate attorno ad un massimo di 2-3 ‘capibastone’. Grazie anche ad una oculata distribuzione del voto di genere e alla gestione di gruppi privati nelle reti social – WhatsApp imperante – il voto segreto di fatto non esiste più. Illuminante la rilettura del voto di lista scomposto e riletto nella distribuzione tra i vari seggi elettorali e puntualmente annotato dai vari rappresentanti di lista. Il che muove interessi innominabili dotati di cospicue risorse.

Può accadere così che diventi assai indigesto proprio il voto amministrativo, quello in cui la distanza tra governanti e governati è più stretta. Proprio allora, il più delle volte, ci accorgiamo che ci sfugge di mano, conteso da oligarchie ristrette, aduse al peggiore trasformismo. Non è fantascienza, purtroppo. Un Grande Fratello diffuso orienta e governa grazie a frammentazione e astensione gran parte del voto. Specie nel Mezzogiorno. Bisognerebbe prestare maggiore attenzione.

Isidoro Davide Mortellaro

docente di Storia delle relazioni internazionali

Università di Bari «Aldo Moro»