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UNA BATTAGLIA SUICIDA

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(Pubblicato sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 5 marzo 2022 con il titolo "Una battaglia sudicia. Il pericolo vero è per la stessa Russia")

UN ATTACCO SUICIDA

Vladimir Putin ha deciso di muover guerra all’Ucraina, definita comunque «parte della nostra storia … con compagni e persone a noi più care».  Non a nemici giurati, perciò, ma alle viscere profonde della «Grande Madre Russia». Una guerra civile che sospende il mondo su un baratro indicibile: « la Russia moderna … resta una potenza mondiale, con un proprio arsenale nucleare….Chiunque ci ostacoli deve sapere che la risposta della Russia arriverà immediatamente e porterà a conseguenze mai viste nella storia». Così Putin sospinge il pianeta sull’orlo dell’impensabile.

Per i più anziani già visto una volta sola. Cuba, ottobre 1962: crisi dei missili. Allora come oggi alta la voce del Pontefice. Ieri di Giovanni XXIII. Oggi di Francesco I. A far la differenza rispetto alla TV di allora Internet. E assieme ad essa finanza e globalizzazione con ansia e timori nella vita quotidiana di ognuno: prezzi impazziti, rifornimenti interrotti.

Putin vuole la «smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina», nonché «assicurare alla giustizia coloro che hanno commesso crimini sanguinosi contro i civili».  Come farlo senza «l’occupazione - e con la forza – dei territori ucraini» non è dato sapere.

Siamo entrati nel III millennio sospinti dal vento di una storia che si voleva alla «fine» e dal fatale bagliore dell’11 settembre. Con l’URSS che aveva trovato in Afghanistan il proprio «Vietnam» e il preannuncio della propria fine. Ma anche nel sogno dell’egemonia «a stelle e strisce», condita spesso da inaccettabili unilateralismi: guerra in Kosovo come nel Golfo e in Iraq, fino alla seconda tragedia afghana. Ogni «guerra celeste» si è rivelata un boomerang, fatta di occupazioni, tragedie, rinculi devastanti. 

La Russia e l’Ucraina sono, assieme ad altre realtà statuali, figlie di un parto plurigemellare: nate dall’URSS e dalla sua dissoluzione in CSI. Gemmate – per reciproco riconoscimento e in sovrana autonomia - da un unico grembo con comuni tradizioni ma marchiate anche da odi insanabili. L’ Holodomor, con i suoi milioni di morti, lacera ancor oggi, nei racconti di nonni e genitori, memoria e vita di chi abita quelle terre.

All’indomani della nascita della CSI l’Ucraina nel 1992 rinuncia unilateralmente alle proprie atomiche ereditate dall’URSS (3900 testate, il 14% dell’intero arsenale sovietico) e le rende alla Russia per dismissione. Avrebbe potuto oggi sedere tra i “Grandi» col pollice sul bottone rosso della distruzione totale. Ha da anni chiesto, come tutte le realtà fuoruscite dall’orbita o dalla dissoluzione sovietiche, l’adesione all’Alleanza Atlantica o alla Nato. Una richiesta finora non accolta. Fanno ancora ostacolo per gli occidentali alcuni impedimenti nella democratizzazione delle istituzioni ucraine: incompleta garanzia del controllo civile sulle forze armate, pochi civili all’interno dei ministeri chiave ecc.

Eppure per Putin questo paese – con la ventilata appartenenza all’Alleanza atlantica o alla Nato – rappresenta una grave minaccia. Tale da imporre una guerra con effetti sconvolgenti in Europa e nel mondo. Cosa resta del leader da tanti acclamato fino a pochi giorni fa per la sua visione del mondo, per la capacità di riportare la Russia a nuovi fasti globali? Ben poco. Soprattutto perché questa guerra rischia di avere effetti devastanti non solo in Ucraina. 

Il pericolo vero è per la stessa Russia. Un paese con oltre 140 milioni di abitanti ma con un PIL inferiore a quello italiano. Come reggere ad una occupazione militare ben più devastante di quella afghana? E senza calcolare l’effetto delle sanzioni. Sui russi stessi prima ancora che sull’Europa e sul mondo.

Che la storia fosse alla «fine» è davvero una favola dei tempi andati. Siamo trascinati ormai in un galoppo cupo e sfrenato. Oggi più che mai il no alla guerra si rivela il primo dovere.

 

Isidoro Davide Mortellaro

docente di Storia delle relazioni internazionali

Università di Bari