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LA LOGICA PERVERSA DELL'OLIO DI RICINO

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LA LOGICA PERVERSA DELL'OLIO DI RICINO 

(Pubblicato sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 29 giugno 2022 con il titolo "La logica perversa dell'olio di ricino del like manipola i flussi elettorali")

42,2% di elettori a questo turno elettorale nelle 59 città monitorate dal Ministero dell’Interno. Avanza la marea astensionistica. S'allarga il fossato tra cittadini e politica, tra gli Italiani e la Repubblica. 

Non è il risultato di un «destino cinico e baro». Qualcosa di profondo sta rimescolando ab imis le democrazie, il mondo occidentale: Stati Uniti in testa. Squassati per decenni da quelle che loro chiamano «cultural wars», guerre culturali: su diritti e poteri fondamentali, sul loro destino nel globo. 

Nel mondo antico per la polis era altro il termine in uso: stasis, «guerra civile», quella che secondo Tucidide mutava «il significato stesso delle parole» e al cui fondo per Aristotele v'erano  - come sono ancor oggi - diseguaglianze profonde, il conflitto tra poveri e oligarchie. Oggi aborto e armi sigillano - addirittura col marchio della Corte suprema - lo scontro, l'assedio che i perdenti con Trump di uno scontro elettorale hanno provato a portare al Campidoglio: estremo tentativo di manomettere il voto degli elettori e portare indietro le lancette della storia. Né in Europa le istituzioni democratiche vivono momenti migliori. Iniziò l'Inghilterra con la Brexit, ben presto rimessa da più parti in discussione. Oggi la Francia - che Macron ha provato a ricondurre sulle vie della grandeur gaullista - si scopre anch'essa tarlata da una sfiducia radicale nei confronti delle istituzioni repubblicane e in preda all'ingovernabilità. Né gode di buona salute la Germania orfana della Merkel e incerta nel ruolo di prima linea affidatole dall'emergenza della guerra in Ucraina.

Man mano che la pandemia prima e la guerra poi hanno reso ancora più necessaria la conquista di un autentico e pieno federalismo europeo, di una nuova UE, non affidata più solo alle volute dell'euro e ai voleri della BCE, le istituzioni nazionali si rivelano inadeguate, per tanti aspetti sorpassate. 

Non a caso tutti i sistemi politici sono in crisi radicale. A cominciare dal tanto celebrato - e in Italia inseguito - bipartitismo. Dovunque avanza però una sfiducia profonda. Non a caso alcuni accorti studiosi - in primis, Peter Mair - hanno accennato alla necessità di «governare il vuoto» a proposito della «fine della democrazia dei partiti». Con valenza e segno anche profondamente diversi, populismo, sovranismo e civismo al livello più elementare hanno provato a riempire questo vuoto. Finora inutilmente.

La socialità di un tempo - fatta di luoghi collettivi di lavoro e studio, sedi di partito e sindacato - è sempre più surrogata da improvvisazioni che durano lo spazio di una campagna elettorale o non vanno oltre un quartiere, nel migliore dei casi un comune. Senza più legami solidi col mondo, ma solo di fatto col surrogato dei social. 

Basta guarda i giornali e vedere come il più delle volte, la cronaca di una campagna elettorale in una città si risolve nella sottolineatura di questo e quello scontro sui social network. Né va meglio con la TV e i talk-show, fotografati il più delle volte da una istantanea di un qualche scambio su Facebook o Twitter. Di fatto, è la logica dei social a guidare e manipolare gran parte dei flussi elettorali. Con il risultato in genere prevalente di logiche tribalizzanti e l'esaltazione di uno scontro politico permanente.

In un tempo infausto ha vinto purtroppo in questo paese la logica dell'«olio di ricino». Per non parlare del manganello. Oggi il like indistinto di gruppi e gruppetti, al seguito di questa o quella cordata, assolve spesso allo stesso compito: bastonare in una logica perversa di gruppo l'interlocutore, ribattezzandolo come avversario, quando non nemico. Il risultato è in quelle cifre mortificanti, di un elettorato che partecipa sempre meno, che si chiama sempre più fuori.

A perderci siamo tutti, ma soprattutto la partecipazione e la democrazia.

 

Isidoro Davide Mortellaro

docente di Storia delle relazioni internazionali

Università di Bari "Aldo Moro"