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LA GLOBALIZZAZIONE ORA RISCHIA LA MORTE

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LA GLOBALIZZAZIONE ORA RISCHIA LA MORTE

SOTTO LE BOMBE RUSSE

(Pubblicato sulla «Gazzetta del Mezzogiorno» del 16 marzo 2022 con il titolo "La globalizzazione ora rischia la morte sotto le bombe russe)

Un interrogativo da giorni s’affaccia in titoli e lanci di giornali e TV: è finita la globalizzazione? La guerra all’Ucraina ha sancito la morte del mondo abitato finora? Russia fuori da Banca Mondiale e FMI? Smetteremo magliette o smartphone “Made in China”? È a rischio il caffé? E la connessione Facebook? 

Magari non ci siamo ancora. Ma la benzina oltre i 2 euro (domani a 3?) e la penuria di grano o concimi fanno venire il sudore freddo o un languore allo stomaco: mancherà la pasta? E via a connessioni fino a ieri sconosciute tra i 4 cantoni del globo. Mangiamo canadese o ucraino e non ce ne eravamo mai accorti. Passi per il petrolio. Lo conosciamo da tempo. Mattei, poveretto, e l’ENI ci avevano svezzato per tempo. Ma le «terre rare»? Fino a ieri chi sapeva cosa fossero: adesso scopriamo che sono l’anima d’ogni diavoleria digitale. Senza di esse non si può nulla. 

Per caso la guerra sta ponendo fine a tutto questo? Davvero domani sarà altro da prima?

Da tempo, l’interrogativo con le sue paure viene lanciato. In primis, vi fu il lampo dell’11 settembre. Quella luce sinistra aprì squarci e chiusure. Seguì la crisi del 2007-2008, col crollo di finanza e castelli di carta dei subprime. Nuove domande sorsero su un modello di vita senza confini, aperto al mondo. Vennero poi Trump e la Brexit con le loro chiusure sovraniste.

Ultima la pandemia. Lì il mondo ci è apparso dapprima assolutamente bloccato, chiuso a catenaccio. Ogni stato con le sue regole, abitudini, culture. Tutti chiusi in casa, magari sul balcone con l’inno nazionale.  Ma poi? Poi ci siamo curati quasi tutti allo stesso modo: stessi farmaci, forniti dai soliti noti, nei canali distorti da diseguaglianze globali note da tempo. Tutti in casa. Ma via allo streaming di massa, con la TV-surrogato del cinema. All’improvviso ci siamo svegliati in case trasformate in hub di LAD e DAD (lavoro e didattica a distanza) senza più confini. Il telelavoro – materia fino ad allora per iniziati – è stato scoperto da tutti: basta con uffici sterminati e faraonici, meglio una direzione con segreteria e stanza per le riunioni. Gli altri? Tutti a casa. Risparmio: e non solo in riscaldamento, trasferte, mensa ecc.

La storia ogni volta ha ripreso a correre e a immergerci in nuove connessioni globali, impensabili fino al giorno prima. 

Ma ora la guerra? Con il suo immenso, inaccettabile carico di morte e distruzione? È guerra tra Stati? Tra sistemi? O una planetaria guerra civile? Che in realtà mette a rischio la globalizzazione tutta e, in primis, chi l’ha dichiarata?

In realtà, a morire definitivamente sotto queste bombe è una ideologia. Quella neoliberale soprattutto. Voleva la globalizzazione figlia di una ritirata: dello Stato a favore dell’impresa. La resistenza del globale ci rivela invece che dietro la globalizzazione c’era una mutazione epocale. Proprio della politica e dello Stato: sempre più sovranazionali, ma votati ora – proprio dal neoliberismo – a regolare, riavvolgere la vita di uomini e mercati in circuiti globali, aperti a concorrenze e  metamorfosi figlie di un nuovo Faust planetario.

E ad ammonirci a guardare meglio, ad aguzzare l’ingegno stanno proprio coloro che – secondo le prefiche del «bel mondo andato» – sarebbero i becchini della globalizzazione: Russia e Cina, in primis. 

La Russia vorrà ritornare indietro dal suo status di fornitrice globale di gas, petrolio e materie prime? Dopo le sanzioni odierne, indirizzate a farla recedere dalla guerra torcendole il braccio, vorrà inabissarsi dentro nuovi confini, magari ritoccati, imperiali, ma chiusi al mondo? Di che e come alimenterà l’economia futura? E la Cina, da tempo «world factory», con esportazioni oltre il 18% del suo PIL, ritornerà dietro la Grande Muraglia o proverà ad aprire nuove «Vie della Seta»? Ad aiutarci nella risposta stanno forse gli stessi oligarchi russi, lo stesso Putin. Da tempo, nelle piazze di Russia si erigono statue a questo o quell’eroe del passato, nel mito dei fasti imperiali. Intanto ognuno prova a mettere al sicuro ricchezze: ovvero futuro. E dove? Ma lontano proprio dalla madre patria. Altrove, nel mondo grande e terribile. E lo stesso Putin non ha forse provveduto a riparare i familiari in Svizzera? Del resto, non è su questo grado di esposizione generale al mondo che provano a premere le sanzioni occidentali?

Tempo fa, un grande scienziato italiano - Marcello Cini, ispiratore dell’«Ape e l’architetto», libro contestatissimo - scandalizzò tanti con parole allora apparse assai singolari, riferite alle missioni Apollo e alle loro foto del pianeta: «la cosa più interessante che abbiamo visto sulla Luna è stata la Terra».

Da allora, non abbiamo mai più smesso di scoprirla come la nostra casa reale.

Isidoro Davide Mortellaro

Storia delle relazioni internazionali, Università di Bari