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L'agenda militare di Praga

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Pubblicato su «il manifesto» del 20-11-2002
 
Il vertice della Nato riscrive le regole dell'Alleanza coerentemente con i dettami delle guerre di Bush. E in opposizione alle aspirazioni di pace dei movimenti e di una Costituzione europea libera dai vincoli di corazzata transatlantica

Dopo Firenze, non «uno spettro s'aggira per l'Europa». Ma una nuova soggettività politica, forte di un'altra idea del Vecchio Continente e del suo farsi Europa: in pace, libera dal morso di precarizzazioni e privatizzazioni, forte di cittadinanze aperte, padrona di una Costituzione restituita a popoli e cittadini. Dopo il Forum Sociale Europeo, e al di là delle provocazioni anche giudiziarie in atto, sarà molto più difficile conquistare o schierare l'Europa - e l'Italia - a fianco o nelle retrovie della guerra preventiva di Bush II. Oggi, dopo Firenze, più che mai guerra e pace sono calco della politica e delle sue metamorfosi. E' lì in quello scontro che, specie a sinistra, movimenti, partiti e istituzioni disvelano, nella trama dei loro rapporti, i segni di un possibile futuro: mai come oggi sospeso tra crisi della democrazia ereditata e rinascita di una politica ridefinita dalla partecipazione dei molti. Tanto più quando la cronaca incalza e un'agenda spietata ed esigente chiede atti di verità, facendo giustizia d'ogni illusione di incorniciare la storia nel balletto inconcludente di comunicati e conferenze stampa.

Il 21 e 22 novembre la Nato si riunirà ai massimi livelli a Praga. Bush s'annuncia già col viso delle armi, in groppa alla nuova maggioranza congressuale e alla delibera strappata al Consigio di sicurezza. Si vedrà se e come riuscirà ad allineare tutta la Nato dietro ai suoi in Iraq.

All'ordine del giorno l'allargamento dell'Alleanza ad altri 7 paesi, sì da avviluppare il vecchio nemico sovietico nelle blandizie della nuova Partnership Atlantico-Russa, ma anche in una cintura di sicurezza che dal Baltico corre al Mar Nero. Sul tavolo incombe però anche la proposta, avanzata da tempo dagli Usa, di ristrutturare la vecchia Alleanza attorno a un nuovo ferro di lancia: una Forza di Reazione Rapida forte di oltre 20 mila uomini, ma soprattutto di mezzi e armi che le permettano di correre ovunque nel mondo, in barba a ogni confine o frontiera, per combattere le nuove guerre del XXI secolo. Nel mirino l'onnipresente terrorismo. In concreto, la Nato e l'Europa sono chiamate a disporsi a braccio armato delle nuova guerra preventiva proposta da Bush II al Congresso Usa e all'Onu con la sua nuova National Security Strategy.

Già a Reykjavik a maggio, tra le fanfare per i nuovi rapporti con Putin solennizzati poi a Pratica di Mare, tutti i membri dell'Alleanza Atlantica avevano sommessamente convenuto che la Nato, nel nuovo scenario strategico imposto dalla cosiddetta «guerra al terrorismo», deve essere capace di «schierare forze che possano muoversi velocemente dovunque ve ne sia bisogno, sostenere operazioni a distanza e e per il tempo necessari per raggiungere i propri obiettivi». Ora, dal 15 al 19 novembre, è in svolgimento ad Istanbul l'Assemblea Parlamentare della Nato, preparatoria del vertice di Praga. Sui tavoli delle varie delegazioni parlamentari vi è già la bozza di una risoluzione, preparata da un apposito Comitato permanente: in essa, lungo la linea inauguata a Reykjavik, si chiede, tra l'altro, di riformulare ruolo e missioni dell'Alleanza in modo da permettere alle sue forze di rispondere alle nuove minacce poste dal terrorismo e dalle armi di distruzione di massa, in modo da assicurare che non ci sarà «scampo o rifugio per chi volesse minacciare le nostre società o per chi volesse dar rifugio a simili figuri».

Tutto è pronto, insomma, perché a Praga - come già nel 1991 a Roma o nel 1999 a Washington -, nella forma surrettizia di una revisione del cosiddetto «Concetto strategico» dell'Alleanza vengano ancora una volta riscritti i Trattati istitutivi del Patto atlantico, trasformati i suoi fini, allargati a dismisura i suoi confini. Con ricadute pesantissime sulla cosiddetta Politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea. Ma soprattutto sul profilo stesso dell'Europa nuova.

Cosa rimarrà da scrivere nella Costituzione europea per un'Europa reingabbiata in una nuova corazza transatlantica? Quale sarà la sua missione nel mondo e quali i suoi rapporti con l'«Amico Americano»? Assegnata alla Nato una prioritaria missione globale e non più regional-continentale, quali spazi di manovra rimarranno praticabili domani per l'Europa e per ogni Paese europeo in ogni sede internazionale, persino all'Onu o nel suo Consiglio di sicurezza?

Per quanto riguarda l'Italia, Berlusconi ha accuratamente evitato di andare in Parlamento, o in una qualsiasi delle commissioni, Esteri o Difesa, a chiarire quali saranno la posizione e il contributo italiani. In verità, nemmeno le opposizioni si sono finora spese perché su un tema di così grande rilievo si sviluppasse, in Parlamento e di fronte al Paese, un limpido confronto di posizioni, tale da condizionare il comportamento del governo italiano a Praga. C'è tempo, però, per prese di posizione che contribuiscano su questo terreno a far chiarezza, a render note le collocazioni e i progetti di ognuno e anche a chiarire a Berlusconi quali saranno i prezzi eventuali da pagare con il prevedibile allineamento a Praga sulle posizioni americane, sia per l'Iraq sia per la nuova Alleanza. Si tratta di un atto fondamentale che ogni forza di sinistra deve alla piattaforma e al movimento usciti da Firenze: movimento che, sia pure in tono e con forze minori, sarà a Praga a contestare quel meeting e quella agenda. E' un passaggio doveroso se con quel soggetto si vuole instaurare o mantenere una interlocuzione feconda. Si tratta, per di più, di un gesto necessario per ogni forza di opposizione che creda davvero alla propria funzione in Parlamento e nel Paese.

Se si rimarrà in silenzio, dopo Praga tutto diverrà più difficile. Anche rivendicare un ruolo per il Parlamento nella ratifica o meno di quello che non potrà non esser letto come un atto di modifica profondissima dei trattati Nato e della collocazione internazionale dell'Italia e dell'Europa. Non far sentire la propria voce ora significa negarsela domani, quando, dopo Praga, dopo la sciagurata approvazione di un progetto giunto a uno stadio così avanzato, sarà chiaro che un altro malefico Rubicone è stato varcato. Allora sapremo, purtroppo, che un altro chiodo è stato infitto sulla nostra Costituzione e sul suo articolo 11. E un altro no è stato detto ad una Costituzione europea che voglia parlare soprattutto di pace e disarmo.