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Ultimatum alla terra

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«STORIA E CATASTROFE» DI LUIGI CORTESI IN UNA NUOVA EDIZIONE PER MANIFESTOLIBRI


Pubblicato su «il manifesto» dell'8-6-2004
 

 
Dal collasso ecologico alla guerra che ha marchiato il passaggio di secolo e di millennio, dall'equilibrio bipolare sull'orlo del terrore atomico a un mondo a potenza unica, dominato dalla supremazia degli Stati uniti. Un saggio che analizza le questioni che hanno complicato e rideterminato natura e portata del rischio globale in cui siamo avvolti

«L'orrore! L'orrore!»: così nel 1899 il Kurtz di Conrad annunciava dal Congo di Cuore di tenebre l'arrivo del Novecento. Ottant'anni dopo, quando sembreranno infittirsi segni e premozioni del «declino americano», quelle parole sigilleranno la rievocazione della tragedia vietnamita consegnata da Coppola al suo Apocalipse Now. E una nuova «Apocalisse» sembrava allora sospingere il mondo verso inquietanti sviluppi: il 12 dicembre di quel 1979 i paesi della Nato, in risposta agli SS20 sovietici, decidevano di schierare nell'Europa occidentale Pershing e Cruise; due settimane dopo l'Urss sceglieva il suo Vietnam, invadendo l'Afghanistan. Il mondo e l'Europa s'avviavano per sentieri drammatici. Agli occhi di milioni di europei, soprattutto giovani, apparvero fatali. Nasceva un nuovo, grande «movimento della pace», un'acutissima insofferenza per «l'equilibro del terrore» che gravava sulla terra e sulle sue forme di coscienza globale. Ad essi e a quella crisi, all'«imminenza della catastrofe» che allora, come seconda Guerra Fredda, irrigidì e distorse animi e relazioni internazionali, Luigi Cortesi dedicherà tra il 1980 e l'83 tutta la sua attenzione, con una serie di scritti poi raccolti nella prima edizione diStoria e catastrofe. Considerazioni sul rischio nucleare, pubblicato nel 1984 a Napoli da Liguori. Dal libro e dalle discussioni che ne gemmarono, in simbiosi e accompagno di quel movimento pacifista e della sua prima parabola, ai primi del 1989 - un anno sì, fatale, per l'Europa e per l'Urss - nasceva «Giano. Ricerche per la pace». Della rivista, giunta oggi a festeggiare i suoi primi 15 anni, Cortesi sarà direttore e animatore: anche nella seconda fase, aperta nel `94 dalla scelta di mutare il sottotitolo del quadrimestrale in «Pace ambiente problemi globali». Nel panorama editoriale italiano, contrassegnato da vivacità ma anche caducità di impegno e realizzazioni, l'iniziativa resta un punto fermo: di fatto unico, per la centralità dedicata alla riflessione sulla guerra e sull'età atomica, e per lo sforzo profuso nel promuovere una giovane leva di analisti e storici della scena globale e dei suoi rivolgimenti.

Oggi Storia e catastrofe torna in una seconda edizione per la «manifestolibri» (pp. 375, € 24) opportunamente prefato da uno stringato ma denso scritto di Edoarda Masi. Una nuova, impegnata introduzione di Luigi Cortesi e altri, più recenti saggi composti in appendice, si dedicano in particolare a quelle questioni ecologiche che hanno così straordinariamente complicato e rideterminato natura e portata del rischio globale in cui siamo avvolti, contribuendo così a dilatare il campo d'analisi elettivamente privilegiato da Cortesi e da «Giano». Vi campeggia soprattutto assoluto quel ritorno globale - in ogni senso - della guerra che ha marchiato in forme tanto eclatanti il passaggio di secolo e millennio. E' esso - inteso soprattutto come «disfrenamento della Superpotenza unica americana» - a consegnare attualità al volume, soprattutto al tentativo di una resa dei conti, anche storiografica, con la questione posta dall'ingresso dell'umanità nell'era atomica, dal rapporto tra la sconvolgente immanenza nella nostra vita di quella prospettiva apocalittica - l'impensabile del suicidio finale - e le tendenze catastrofiche più generali tipiche dell'«età dell'imperialismo». Per questa via, nuova, sia pur livida, luce viene fatta sul 900 tutto. Al contempo, si compone una larga panoramica di tanta parte della storiografia contemporanea, tesa a rivelare quanto poco le letture più tradizionali del 900, anche quelle più aperte, abbiano saputo fare i conti con l'immanente nichilismo di «un corso storico che, come una macchina sfuggita al controllo dell'uomo», appare irresistibilmente proteso «a provocare il collasso dell'ecosistema ... e della storia umana». Di qui il bisogno di instaurare più saldi rapporti con quel complesso di teorie e scienze aduse al paradigma del limite, alla complessità e financo tragicità del rapporto tra uomo e natura.

E' a questa altezza dei nodi storici e politici posti dallo sviluppo del 900, che Cortesi dà conto dell'incontro cruciale - per il tramite della lettura critica di Bobbio - con Günther Anders e le sue Tesi sull'età atomica, con il bisogno di guardare il mondo e di muoversi in esso come «apocalittici consapevoli», turbati da quella «angoscia vivificante» che «invece di rinchiuderci nelle nostre stanze ci fa uscire nelle piazze». Solo un occhio convertito compiutamente alla comprensione della soglia varcata a Hiroshima e Nagasaki può realmente fare i conti con l'eredità del «secolo lungo» appena chiuso. Solo uno sguardo siffatto può provare a misurare l'epoca nuova che ora ci pressa e spinge a gridare nuovamente all'orrore. Oggi come ai primi degli anni 80, «lo sviluppo del capitalismo, nelle forme politiche ed economiche dell'imperialismo», appare sempre più limpidamente «il vettore del rischio, o della cumulazione dei rischi globali». Lì sta il motore primo di una vera e propria «crisi di civiltà», lì si costituisce un «sistema globale dello sterminio» che «brucia i tempi più lenti, della natura, della vita e della coscienza». Da questo punto di vista il «secolo XX, in vario modo definito come disastroso e contrassegnato con i nomi simbolici di Auschwitz e di Hiroshima», trova il suo «filo conduttore», «prende i propri caratteri dominanti ... dal profondo dell'Ottocento, dall'acme della rivoluzione industriale», dall'«imperialismo come capitalismo storico».

Lungo queste declinazioni, ben si comprende la scelta di mutare, con questa seconda edizione, il sottotitolo del volume da «Considerazioni sul rischio nucleare» a «Sul sistema globale di sterminio»: l'accento ora insiste decisamente sulla primazia assoluta degli Usa e del loro complesso militar-industriale nella determinazione della soglia apocalittica su cui il mondo è sospeso. Di mezzo c'è o, meglio, c'era un tempo l'Urss, responsabile anch'essa d'un tiro alla fune a esito catastrofico. Nell'84 Cortesi aveva respinto la categoria di «sistema dello sterminio» allora proposta dallo storico Edward O. Thompson, anch'egli fortemente impegnato nel movimento pacifista contro gli euromissili. Gli era sembrata ingiusta proprio nei confronti dell'Unione Sovietica, convertitasi alla dissuasione nucleare per necessità e sull'onda di una più generale degenerazione statolatrica, imposta dallo stalinismo, dimentico di quella lezione leniniana che voleva lo sviluppo del socialismo inevitabilmente coniugato nelle forme di un irreversibile declino statuale. Di questa tabe originaria l'Urss è poi morta, non senza rivelare però residui delle virtù orginarie: si è dissolta senza colpo ferire, senza provare a difendere primati a spese del mondo e della sua stessa sopravvivenza. Ben altre - constata Cortesi - sono le tensioni che gli Usa scaricano sul mondo a difesa del proprio primato, come cura del proprio declino: soprattutto dopo l'11 settembre.

L'adozione in questa chiave e dopo l''89 della categoria proposta da Thompson non è però senza problemi. Sorge in particolare una domanda: come e per quali forme la tendenza apocalittica che sembra irreversibilmente muovere il mondo è tutta e senza residui figlia dell'imperialismo? Inteso come «capitalismo storico» e perciò come tratto generale di un'età, non certo come aggettivazione esclusiva di questo o quel soggetto storico-statuale, può ancor oggi essere brandito utilmente nel globo di terzo millennio? Dov'è il mondo di fine 800 ancor tutto tenuto assieme dal centro europeo, uniformemente partito tra Nord e Sud? Ma soprattutto come fare i conti con un 900 in cui il movimento operaio, socialisti e comunisti non sono certo passati solo come meteora, ingoiata dal buco nero di una sconfitta ingrata e tiranna? Cosa ne è di quell'età passata alla storia come età della decolonizzazione, di quella che Hedley Bull battezzò «rivolta contro l'Occidente». Geoffrey Barraclough ha ricordato che «tra il 1945 e il 1960 si rivoltarono al colonialismo e conquistarono l'indipendenza non meno di 40 paesi, con una popolazione di 800 milioni, più di un quarto della popolazione mondiale». Mai, nella storia dell'umanità, v'è stato un tale rivolgimento in un tempo così breve. Per Toynbee e Hobsbawm da allora in poi l'Occidente ha dovuto imparare a convivere con gli effetti di lungo periodo di quella rivolta. Non vi siamo forse ancora completamente immersi oggi, nel mondo scosso dall'irrompere di India e Cina sui mercati mondiali, così come dall'11 settembre? Non stiamo forse assistendo al tentativo degli Usa e dell'Occidente di incanalare quel sommovimento, la voglia di riscatto di miliardi di asiatici, cinesi o indiani, nei moduli della globalizzazione neoliberista? E di provare a rinnovare in questo mutamento di asse del mondo, in colloquio discorde con le classi dirigenti del Sud, le ragioni del primato occidentale, dell'egemonia a stelle e strisce? E possiamo ancora apporre su tutto questo l'etichetta di imperialismo? Non rischia di essere una coperta troppo corta, proprio per cogliere i mutamenti interventi nell'assetto geopolitico del mondo e nelle forme del dominio, nel capitalismo storico?

La torsione epocale che i nuovi rischi globali imprimono alla storia rivela forse tratti non imputabili integralmente al peso dei rapporti di produzione, alla loro natura capitalistica. Come ha rivelato la stessa storia sovietica, vi è un passo sconvolgente e catastrofico che lo stesso sviluppo delle forze produttive può assumere, quando declinato univocamente nelle forme dell'accumulazione e della crescita economiche. Su un altro piano, la stessa storia dell'atomica si rivela più complicata di quella segnata dalla scelta di Truman di affondarlain corpore vili a sigillo della II guerra mondiale e dell'egemonia Usa. L'atomica nasce anche antifascista, come arma di deterrenza contro una eventuale «bomba» nazista. Avrà persino la ventura di essere salutata e impugnata dal Partito comunista cinese come arma indispensabile al trionfo del socialismo, sia pure a prezzo di milioni di morti. La liberazione del mondo dal suo ricatto non sarà possibile senza la sconfitta del partito che innanzitutto negli Usa ne fa la pietra angolare di quello che tragicamente viene ancora definito un «sistema di sicurezza». Ma si tratta di un obiettivo che trascende la pur fondamentale scena americana, come mostra ogni giorno la corsa alla proliferazione e come ha rivelato lo stesso 11 settembre: l'altra atomica innescata nel cuore di New York dai kamikaze di Terzo Millennio. In un mondo in cui la scienza ormai controlla, manipola e dissolve la vita in filamenti di bit, il bisogno di nuovi codici e regole va oltre il bisogno, impellente ma non esaustivo, di sventare l'attacco globale del copyright, la stretta finale della mercificazione planetaria.

Del resto sul rapporto tra vita, politica e nuovi rischi globali proprio Anders, sulla scorta di quanto già intravisto quasi vent'anni prima da Einstein, chiamava a rivoluzioni copernicane tra guerra e politica, politica e pace: la tesi che «nell'attuale situazione politica ci sarebbero (fra l'altro) anche "armi atomiche", è un inganno ... E' vero il contrario: che le cosiddette azioni politiche hanno luogo entro la situazione atomica». Ma di tutte queste questioni è vero soprattutto un dato. Esse sono pensabili e possono divenire oggetto di discussione, e soprattutto di un proficuo e duraturo dibattito, solo se assunte dal punto di vista di «apocalittici consapevoli». E per conquistare, in questo passaggio di millennio, vedute siffatte Storia e catastrofe si rivela prezioso.