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Ministro Tremonti, che cosa risponde?

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pubblicato su «il Manifesto» del 27-9-2011 

In teoria le dichiarazioni di redditi e fisco possono essere consultate da tutti. In pratica gli elenchi sono fermi al 2005. C'è una legge che dice «il ministro dispone annualmente...»: perché non è applicata?

 

Tanti, tanti anni fa, quando il vento della contestazione prese a scompigliarci capelli e idee, fondammo nel paese di Basso Adriatico, in cui ci toccava vivere, un circolo di intervento politico. Tanto per ricordarci e ricordare dove, come e perché volevamo agire, lo chiamammo Circolo Gramsci.

Eravamo intanto un gruppo di amici. Quasi tutti con salde radici nell' Azione cattolica. Qualcuno vantava trascorsi nel movimento giovanile Dc. Altri frequentazioni di sinistra: insomma, con la tessera del Psi in tasca. Allora non c'erano dubbi sulla geografia politica italiana.

Ben presto guadammo il Rubicone. Inaugurammo una lunga collaborazione con la locale sezione del Pci, pubblicando i dati sulle dichiarazioni di ricchezza mobile di alcuni notabili e imprenditori locali. Si chiamava così all'epoca l'imposta volta ad accertare il reddito del contribuente ed era il frutto, di fatto, di una fitta contrattazione tra il cittadino e gli uffici municipali e provinciali delle imposte. Il risultato portava chiaramente le stimmate del locale sistema di potere e del predominio dc. Tutti i dati naturalmente erano consultabili da chiunque ne facesse domanda.

Grandi cartelloni di legno vennero issati nella immensa piazza locale. A caratteri cubitali furono riportati i nomi dei maggiori contribuenti, con l'indicazione dei redditi - invero risibili - in base ai quali erano chiamati a partecipare alle finanze locali e nazionali. Attorno ad esse per giorni vi fu grande concorso di folla e di chiacchiere. Lo struscio serale fu per giorni scusa buona per sbirciare e commentare. Ai primi posti finì colui che poi sarebbe divenuto mio suocero: titolare di una impresa di costruzioni stradali. Fierissimo liberale, conosceva bene i vizi della società meridionale. Col tempo avrebbe votato anche la sinistra estrema per difendersi e - come gli capitava di dire - difenderci dal cancro del berlusconismo. Meglio tacere cosa gli affiorava sulle labbra quando in video compariva il leader o il berlusconide di turno.

Alla vista del suo cognome - e persino del soprannome: volevamo essere precisi - non profferì verbo. Tornato a casa, chiamò la figlia, di cui conosceva bene le frequentazioni, e la pregò di ringraziare vivamente il sottoscritto per l'improvvisa pubblicità. Col tempo, l'episodio sarebbe divenuto argomento principe di tanti dopopranzi domenicali, sommo sollazzo - ma anche fermo esempio di educazione e vita - di figli e nipoti. Non ho mai capito chi, suocero o genero, riuscisse a vantare la medaglia più pesante.

Anni dopo mi è capitato di ritornare su dichiarazioni dei redditi e fisco e sul carattere pubblico delle pratiche in materia di Irpef e Iva. Questa volta all'Università, a causa di corsi dedicati a criminalità e globalizzazione, e Mezzogiorno. Nel presupposto che l'opacità fiscale sia la migliore alleata di ogni manifestazione criminale, volevo che gli studenti provassero in appositi seminari a reimpadronirsi del Mezzogiorno, per meglio conoscerne, grazie anche al fisco, soggetti e dinamiche.

Confidavo nella chiarezza e univocità della legislazione in materia. Una copiosa messe di disposizioni legislative infatti statuisce che «il ministro delle Finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi dei contribuenti» relativi sia alle imposte dirette, Irpef, sia all'imposta sul valore aggiunto, Iva, e che gli uffici delle imposte provvedono a formarli e pubblicarli, oltre che a trasmetterli - in cartaceo o per via telematica - ai Comuni interessati. Uffici periferici e Comuni garantiscono inoltre la loro consultazione da parte di chiunque voglia farlo o voglia estrarne copia, giusta la legislazione vigente in materia di accesso ai documenti amministrativi1. Nel 2008, inoltre, lo scandalo della pubblicazione degli elenchi su Internet da parte dell'Agenzia delle entrate era stato occasione di un limpido chiarimento in materia. Infatti il Garante della Privacy, con un apposito provvedimento, aveva bollato come illegittime la pubblicazione e consultazione indiscriminata dei dati via Internet, ma riconosciuto la piena liceità della trasmissione e pubblicazione tramite le sedi periferiche ministeriali e i Comuni, così come la loro consultazione e copia da parte di chiunque ne facesse richiesta.

In quella occasione, per saggiare il terreno e la qualità della documentazione, avevo provveduto a presentare apposita domanda al Comune di residenza, ricevendo immediatamente i dati 2006 relativi alle dichiarazioni dell'anno 2005. Quando però successivamente ho provato a recuperare per gli studenti le serie storiche successive e di altri Comuni, l'amara sorpresa: l'apposito data-base non conteneva altri dati oltre il fatidico 2005. In sostanza, per gli anni successivi non vi è stato alcun aggiornamento degli elenchi. Interrogati gli uffici locali e regionali dell'Agenzia delle entrate ai massimi vertici, si sono tutti stretti nelle spalle. Promettevano di interrogare Roma e di far sapere, ma poi un muro di gomma, reticenza, mancanza di risposte, generici rinvii a disposizioni disattese. Da parte di chi? Del ministro? Dei suoi uffici? Dell'Agenzia delle entrate? Non si sa. Negli anni succcessivi si è tornati alla carica, ma sempre senza alcun risultato. Ho scritto infine all'Ufficio del Direttore generale dell'Agenzia delle entrate. Unico risultato finora una mail in cui si certificava l'arrivo del mio quesito, con tanto di numero di protocollo, e mi si prometteva risposta. Nonostante ripetuti solleciti, non vi è stato nemmeno un cenno.

Sul sito dell'Agenzia e sugli schermi delle nostre TV scorre ad ogni ora del giorno lo spot di una campagna di sensibilizzazione sociale e culturale, curata dal Ministero delle Finanze e dalla Presidenza del Consiglio. L'evasore fiscale tipo vi è raffigurato con barba lunga e atteggiamento torvo e definito «parassita della società». Chissà a che evasore si pensa: l'idraulico? il falegname, il bar di sotto casa? In realtà, l'Unione europea ci informa che uno dei canali più lucrosi e criminali di evasione ed elusione è costituito dalle cosiddette carousel fraud, o truffe carosello, tramite l'illecita manipolazione dell'Iva sul commercio infracomunitario: qualcosa come 60 miliardi di euro e passa l'anno (dati 2007), su cui le varie cosche criminali allungano sempre più le mani. Insomma, siamo al passo e alle cifre del traffico di stupefacenti.

Nei giorni scorsi il Governo ci ha inondato di annunci sulla lotta all'evasione fiscale e sulla pubblicazione da parte dei Comuni di elenchi vari. Tutto poi scomparso. Tutti i giornali hanno pubblicato tonnellate di carta, senza alcuna informazione precisa sui doveri e le inadempienze dei nostri governanti - in merito alla diffusione e alla possibile consultazione degli elenchi dei contribuenti - e sui diritti di ogni cittadino a vederli e persino averne copia, più o meno parziale.

Rilancio la domanda pubblicamente. Perché oggi - nonostante Internet e l'ubiquità della comunicazione - non si riesce ad avere accesso ai dati fiscali come accadeva nei primi anni Settanta del Novecento? Perché ai Comuni non sono più arrivati dati dopo quelli del 2005, nonostante la legge sia chiara: «il ministro dispone annualmente ...»? Chi è il responsabile di questa violazione di precise disposizioni di legge? O quanto meno di quella che appare una gigantesca e ripetuta omissione di atti di ufficio? Riuscirà «il manifesto» ad avere una risposta?